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L’uomo, l’istinto, gli animali.

20 giugno 2015

L’uomo, l’istinto, gli animali.

Il passaggio decisivo, nella scala evolutiva, dalle scimmie antropomorfe agli australopitechi, cioè ai primi ominidi, si ha quando allo schema di comportamento dettato dall’istinto (che caratterizzava le prime) si sostituisce quello (non più “dettato” ma) caratterizzato da una qualche forma, seppure molto primitiva ed embrionale, di consapevolezza (che contraddistingueva i secondi).

Questo passaggio comporta una vera e propria separazione tra le due specie, una sorta di salto evolutivo.

L’istinto, infatti, obbliga ad una specie di risposta automatica e, quindi, del tutto prevedibile di fronte ad un determinato stimolo proveniente dal contesto (sia esterno che interno) in cui ci si trova a vivere.

La consapevolezza parte comunque da una base istintuale, ma questa non detta più in maniera automatica e scontata gli atti e i comportamenti, bensì sottopone lo schema istintuale ad una sorta di filtro, in cui grande importanza ha il ruolo del cervello, che nel frattempo si è sviluppato con gli australopitechi ed è quindi capace di operazioni più complesse di quelle di cui erano capaci le scimmie antropomorfe, anche nelle loro forme più evolute.

La consapevolezza fa sì che, di fronte ad un determinato stimolo, la risposta non sia più automatica, scontata e prevedibile, ma possa essere diversificata. Compaiono quindi nello scenario della storia la possibilità della scelta e quella del “libero arbitrio” che la sottende.

Ciò rende, in qualche modo, l’uomo simile a Dio, in quanto lo fa in qualche misura (anche se molto relativa: qui ci sarebbe molto da approfondire) arbitro e creatore del proprio destino.

Ma rappresenta, in maniera speculare, anche una condanna: l’uomo da questo momento in poi si sente ancora facente parte della natura (con tutti i vincoli che questo comporta), ma allo stesso tempo se ne sente oramai separato, come se ne fosse stato definitivamente cacciato.

E’ forse questo il senso profondo del mito della cacciata dell’uomo dal Paradiso terrestre.

Ce lo spiega bene Erich Fromm nel suo “L’arte di amare”: “… ciò che caratterizza l’esistenza dell’uomo è il fatto di essere emerso dal regno animale, dall’istinto; esso ha dominato la natura, sebbene non l’abbandoni mai; ne fa parte e tuttavia, una volta staccato dalla natura, non può farvi ritorno; scacciato dal paradiso – vale a dire da uno stato di armonia con la natura – i cherubini con la spada di fuoco gli bloccherebbero la strada, se provasse a tornarci.”

Da questo momento in poi l’uomo è chiamato ad un destino superiore, perché, consapevole di sé, è diventato in qualche modo un essere libero, padrone del proprio destino.

Ma è preda anche della paura della sua nuova condizione, che gli mette angoscia: perché non trova più in sé l’armonia con la natura che prima era scontata. E’ chiamato ora a trovare una nuova armonia, un nuovo rapporto con la natura.

Da questo momento in poi la sua vita oscillerà sempre tra questi due bisogni opposti e contrastanti , ma ugualmente potenti: ritrovare le antiche sicurezze, l’armonia perduta da un lato; affrontare le nuove sfide che la vita gli pone, i rischi che esse comportano dall’altro; accontentarsi di quello che è, di come lo ha partorito “Madre Natura”, oppure andare oltre, svilupparsi, crescere, evolversi ancora, in un processo mai concluso una volta per tutte.

Giovanni Lamagna