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Buddhismo, religioni teiste e pensiero filosofico moderno.

Non ci sono dubbi che, dal punto di vista del rigore razionale, il pensiero buddhista, tra i vari pensieri religiosi, sia quello che, nel corso dei secoli (anzi dei millenni), abbia retto (e ancora oggi regge) meglio al vaglio critico delle varie filosofie che si sono succedute nel corso della storia dell’Umanità.

Soprattutto se lo confrontiamo con le altre tradizioni religiose e spirituali; basti citare le più importanti: l’ebraismo, il cristianesimo, l’islamismo e lo stesso induismo.

Come ci ricorda anche Vito Mancuso nel suo “I quattro maestri” (Garzanti; 2020; pag. 192-193), due sono le questioni rispetto alle quali si evidenzia questa superiorità (a mio avviso, addirittura vistosa) del Buddhismo rispetto alle altre tradizioni prima citate.

Queste ultime, infatti, tutte, facevano e fanno una netta distinzione tra il concetto di “anima” e quello di “corpo”, potremmo anche dire “materia”; e tra il concetto di “Dio” e quelli di “mondo”, “terra”, “universo”.

Per la maggior parte delle principali tradizioni religiose dell’Umanità l’essenza dell’essere umano è costituita da un’anima spirituale, attualmente e provvisoriamente prigioniera di un corpo mortale, destinata prima o poi a liberarsi di questa prigione per raggiungere la sua originaria e più vera destinazione: il ricongiungimento con Dio, “essere eterno, stabile, permanente”, quindi totalmente altro “rispetto a questo mondo che invece è composto di tempo e quindi passa e genera morte”.

Ora sappiamo tutti bene come l’evoluzione del pensiero filosofico (mi riferisco qui essenzialmente a quello occidentale) nel corso di due millenni e mezzo abbia progressivamente smantellato, specie negli ultimi 500 anni, le basi teoriche e razionali sulle quali si basavano quelle credenze, le quali pertanto, agli occhi di una mente speculativa odierna mediamente aggiornata e acculturata, nella maggior parte dei casi risultano semplicemente insostenibili e perciò inaccettabili.

Il Buddhismo, invece, fin dalle sue origini ha negato sia il concetto di “anima” che quello di “Dio”, almeno come realtà separate; anche se, in modo altrettanto evidente, non ha certo sposato “…l’ateismo materialista che, negando Dio e l’anima, distrugge al contempo il senso stesso della spiritualità riducendo tutto a materia, istinto e lotta per la sopravvivenza e, se ammette l’etica, è solo in chiave utilitaristica.”

E, piuttosto che nella elaborazione di una teologia e di una metafisica, il Buddhismo sin dalle sue origini si è impegnato esclusivamente nella costruzione di una pratica etica, ascetica, meditativa, contemplativa, potremmo anche dire mistica, che, lungi dal negare – come è del tutto evidente – la spiritualità dell’uomo, la portasse invece ai suoi massimi livelli.

Da questo punto di vista la proposta di Buddha è dunque, come fa notare giustamente Mancuso, “spiazzante”; perché “non accontenta né i credenti né i non credenti tradizionalmente intesi”.

E però sicuramente è più in accordo (o meno in contraddizione) con il pensiero filosofico moderno e contemporaneo di quanto non lo siano (oramai) le principali tradizioni religiose che abbiamo conosciuto nel corso della storia.

© Giovanni Lamagna