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Cosa intendeva Gesù per Regno di Dio?

Certamente Gesù, quando parlava di “Regno di Dio” o di “Regno dei Cieli” non intendeva un regno di natura temporale.

Ci sono alcune sue affermazioni nette, chiare, forti, che contraddicono una tale interpretazione. Anzi la escludono del tutto. L’ultima, forse la più inequivoca di tutte, la pronunciò poco prima della sua crocifissione.

In risposta a Pilato che gli chiedeva: “Sei tu il re dei Giudei?”, Gesù dichiarò: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù.” (Vangelo di Giovanni; 18; 33-36).

Sono meno certo, invece, che Gesù con le espressioni “Regno di Dio” e “Regno dei Cieli” non intendesse l’avvento (escatologico) di un regno spirituale e del tutto soprannaturale, che sostituisse definitivamente il Regno naturale, storico, politico, nel quale si è svolta la sua predicazione.

Anzi è molto probabile, a mio avviso, che con quelle espressioni Gesù intendesse proprio la fine del “tempo storico dell’aldiquà” e gli inizi del “tempo eterno dell’aldilà”.

Come l’intendevano, del resto, alcuni dei profeti messianici che apparvero numerosi in Galilea più o meno nello stesso tempo storico di Gesù.

Anche se, certamente, il messaggio di Cristo si può leggere pure in una chiave del tutto terrena: è questa la tesi sostenuta dal mio amico Lino Picca nel suo libro “Alla ricerca di senso…”, nonostante egli sia un convinto credente.

Cioè come la volontà, il desiderio, l’aspirazione, potremmo dire anche la missione, di realizzare il Regno dell’amore, della pace, dell’armonia tra gli uomini, a prescindere dalla fede in un aldilà ultraterreno, metafisico.

Ma questa mi sembra una lettura (direi laica) del messaggio evangelico, che si può fare oggi, a posteriori. Visto il fallimento della profezia giovannea dell’Apocalisse 21, 1-4, dell’avvento di cieli nuovi e terre nuove.

Non so se possa essere considerata un’interpretazione corretta dal punto di vista non solo dell’essenza e dello spirito, ma anche della lettera del messaggio evangelico, di quello che intendeva Gesù per “Regno di Dio” o “Regno dei Cieli”.

Pure se è quella che io preferisco e nella quale mi riconosco di più, da agnostico quale sono. Quella che mi porta a dire, con Benedetto Croce, “non possiamo non dirci cristiani”.

Giovanni Lamagna

L’uomo nuovo di Nietzsche e l’uomo nuovo di Cristo.

Per me è vero quello che afferma Nietzsche (come mi ricorda il mio amico Lino Picca nel suo bel libro “Alla ricerca di senso”): “l’uomo nuovo, rappresentato dall’oltre-uomo”, che si libera di tutte le autorità, consapevole di essere la fonte di tutti i valori e del senso stesso delle cose e della vita, non è un modo di essere raggiungibile da tutti gli uomini, ma è prerogativa, privilegio solo di una ristretta élite.

D’altra parte questo pensiero di Nietzsche è l’equivalente di quello che aveva già affermato Gesù Cristo 18 secoli prima del filosofo tedesco, con altre parole, però anch’esse molto vere: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti” (Matteo; 22, 14).

Anch’io penso, come Nietzsche, che (ancora oggi) pochi siano gli uomini capaci di liberarsi dal giogo dei comandamenti esterni, a loro imposti da quello che il filosofo tedesco chiama “il tempo della metafisica”.

Anch’io penso che la maggior parte degli uomini siano ancora oggi come “l’uomo cammello”, di cui parla Nietzsche, succubi delle regole e delle prescrizioni soffocanti che sono loro imposti dall’esterno e che essi accettano pazienti, umili e schiavi, come il cammello, appunto, che si inginocchia e si fa mettere sulla schiena, senza ribellarsi, un pesante fardello.

Pochi sono gli “uomini leone”, di cui pure parla Nietzsche, cioè gli uomini che si ribellano ai comandamenti e alle prescrizioni esterne e decidono di obbedire solo ai comandamenti interni. Gli uomini che al “tu devi”, di kantiana memoria, sostituiscono l’ “io voglio”, dell’uomo nuovo, liberatosi dalle catene del tempo della metafisica.

Fatta questa premessa, non ci sono dubbi, però, che l’analogia, tra gli eletti di cui parla Nietzsche e quelli di cui parla Gesù, finisce qui.

Innanzitutto perché la élite di cui parla Gesù non è una élite dominatrice, come, invece, la immagina Nietzsche. Ma, anzi, è una élite chiamata, paradossalmente, addirittura a servire.

Come ci racconta il Vangelo di Marco (10; 42-45): “42Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti.45Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».”

E poi perché la élite di cui parla Gesù è una élite provvisoria, chiamata a farsi lievito affinché anche gli altri uomini (quelli restati a far parte del gregge) scoprano e vivano, prima o poi, il “regno di Dio”, considerato come il Regno di tutti coloro che non sono solo “chiamati”, ma si fanno anche “eletti”, il Regno di tutti coloro che, liberatisi delle catene dell’antica schiavitù, scoprono la libertà dell’essere “figli di Dio”, metafora dell’essere pienamente umani.

La élite di cui parla, invece, Nietzsche non è solo momentaneamente ristretta, ma è destinata a rimanere tale in eterno, chiamata, dunque, a dominare gli altri uomini, rimasti nella condizione di gregge e condannati dalla natura a rimanere pecore, anzi cammelli, per usare la metafora a cui fa ricorso Nietzsche.

La élite di cui parla Gesù è la élite che anima (potremmo dire con un linguaggio certo non suo, perché non apparteneva ai suoi tempi, ma che probabilmente egli oggi avrebbe condiviso) la democrazia.

Non è la élite aristocratica, fatta di superuomini che tengono sotto il loro giogo gli uomini gregge, di cui parla Nietzsche, avvalorando, in questo caso e per innegabili aspetti, la lettura che di lui hanno inteso dare nel secolo XX° ideologie autoritarie (e per me devastanti), come, in primo luogo, fu il nazismo.

Insomma, tra l’uomo nuovo di cui parla Nietzsche e l’uomo nuovo di cui parla Cristo esistono delle abissali differenze.

Ed io non ho dubbi su quale dei due preferire: per me l’uomo nuovo di Cristo è di gran lunga più “nuovo” di quello di Nietzsche. Anche per questo lo preferisco.

Giovanni Lamagna