Gli psicologi, la conoscenza dell’animo umano e la capacità di rapportarsi agli altri.

Non riconosco a nessun psicologo, a nessun psicoterapeuta il primato (ancor meno, ovviamente, l’esclusiva) della conoscenza dell’animo umano e della capacità di stabilire sane e corrette relazioni interpersonali, basate sull’empatia e il dono di sé.

Non c’è dubbio che gli studi fatti e, soprattutto, il training formativo, a cui si sottopongono la maggior parte degli psicologi e degli psicoterapeuti, prima di iniziare la loro attività professionale, costituiscano uno stimolo, anzi una condizione privilegiati e oltremodo arricchenti, almeno in potenza, per poter acquisire una conoscenza profonda dell’animo umano e per imparare a rapportarsi correttamente nei confronti dei propri simili (e non solo dei loro pazienti).

Ma questi due fattori non garantiscono di per sé e con certezza le qualità e le competenze richieste. Ci sono, infatti, psicologi e psicologi, psicoterapeuti e psicoterapeuti. Tra questi non tutti, pur avendo compiuto in piena regola gli studi richiesti e svolto in maniera formalmente ineccepibile il percorso formativo previsto, si dimostrano poi all’altezza del compito che viene loro richiesto. Molti di loro, anzi, a mio avviso, farebbero bene a cambiare mestiere.

Non solo. Ma lo studio teorico della psicologia e la pratica psicoterapeutica non sono le uniche vie attraverso le quali si può conoscere in profondità l’animo umano e imparare a rapportarsi in maniera ricca agli altri uomini. Ci sono, infatti, anche altre strade e altri modi per apprendere queste due competenze.

C’è innanzitutto il lavoro di introspezione e autoanalisi, che ognuno di noi può fare su di sé, anche senza essere un addetto ai lavori delle discipline che si occupano della psiche umana.

Ci sono, infatti, persone, a volte anche culturalmente modeste, che non hanno fatto cioè studi elevati, le quali, un po’ per indole naturale, un po’ per apertura mentale e interesse culturale (in senso lato), dimostrano di avere una straordinaria predisposizione all’autoanalisi e all’empatia interpersonale. E la coltivano con impegno e costanza.

Molto più di parecchi psicologi e perfino psicoterapeuti di professione. Alcuni dei quali non hanno né particolari capacità introspettive né speciali abilità relazionali. E non fanno neanche molto per acquisirle e svilupparle.

Ci sono poi almeno altre tre aree e attività umane, che predispongono in maniera privilegiata alla conoscenza dell’animo umano ed all’empatia nelle relazioni interpersonali.

La prima è l’arte. Soprattutto la letteratura.

Potrebbe, infatti, esistere l’artista, senza una sua particolare predisposizione a entrare in intima connessione con tutto ciò che è umano e ad esprimerlo nelle forme più diverse, ma comunque così universali, da trovare poi risonanza e consonanza emotiva negli altri esseri umani, in coloro cioè che dell’opera d’arte non sono (purtroppo!) autori, ma (solo) fruitori?

La seconda è la filosofia. Dalla quale (e non a caso) è derivata, anzi nata la psicologia. Che nei tempi antichi non era altro che una branca della filosofia.

Cos’è, infatti, l’oggetto privilegiato della filosofia se non l’uomo e tutto ciò (in primis le relazioni con gli altri suoi simili) che è alla vita dell’uomo collegato?

La terza, infine ma non ultima, è la mistica. Alla quale si collega indissolubilmente (se è mistica autentica e non malsano solipsismo) l’amore inteso come agape.

Cos’è, infatti, la mistica se non la pratica abituale e costante della meditazione e della contemplazione, cioè della vita interiore, della vita che si svolge dentro l’animo umano?

E che cos’è, infine, l’agape, se non quella predisposizione universale all’amore, che ci porta a provare amore non solo per coloro verso i quali sentiamo un’attrazione naturale e per quelli a cui siamo legati da vincoli di sangue e di carne, ma per ciascun essere umano, anche quello più abietto, perfino per il nostro nemico, così come ci ha insegnato Gesù, per il solo fatto che è un essere umano, cioè un nostro simile?

Un amore, l’agape, che non deve e non può essere, ovviamente, solo teorizzato, ma deve essere soprattutto praticato. E praticato non in una maniera qualsiasi, cioè dilettantistica e sprovveduta . Ma dopo aver appreso le capacità (anche tecniche e non solo spontanee) di entrare in sintonia con gli altri. Dal momento che non sempre è amore ciò che definiamo o siamo soliti definire “amore”.

L’amore, infatti, come ci ha spiegato bene uno splendido libretto di Erich Fromm, è un’arte. E, come tutte le arti, va appresa attraverso un duro e severo apprendistato.

Giovanni Lamagna

Pubblicato il 2 Maggio 2017, in antropologia, Arte, Filosofia, morale, Psicologia, Religione, società, Spiritualità con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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