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Chi è il filosofo?

3 gennaio 2016

Chi è il filosofo?

Il filosofo è (ovviamente) un uomo come gli altri.

Ma, allo stesso tempo, è (e deve essere) un uomo diverso dagli altri.

L’uomo comune è essenzialmente un uomo che agisce, un uomo della prassi. Anzi, sarebbe meglio dire, è un uomo che è agito. Fa, infatti, le cose non perché sceglie di farle, ma perché le deve fare. Mosso da una specie di automatismo, che è dato in parte dall’istinto e in parte dalle convenzioni sociali.

Il filosofo nasce nel momento in cui l’uomo comune (in lui) smette di agire (o, meglio, smette di farsi agire), smette di essere l’ignaro funzionario di una prassi inconsapevole, e comincia a pensare, a farsi delle domande sul senso del suo agire, anzi sul senso stesso del suo essere al mondo.

In quel momento avviene una sorta di “metanoia”, di trasformazione interiore. Quella che Pierre Hadot, nella prefazione a suo libro “Esercizi spirituali e filosofia antica”, non esita a definire come una vera e propria “conversione”.

Il neonato filosofo, prima e più che “vivere fuori”, comincia allora a “vivere dentro” e a guardare il mondo con un “terzo occhio”.

Il “terzo occhio” è l’occhio interiore, l’occhio del contemplativo, di cui è privo l’uomo comune, che è tale in quanto puro uomo di azione, preso da mille impegni ma tutti esteriori, insensibile all’unica cosa veramente necessaria.

Martha, Martha solicita es et turbaris erga plurima. Porro unum est necessarium. Maria optimam partem elegit quae non auferetur ab ea” («Marta, Marta, tu ti affanni e t’inquieti per troppe cose. Ma una sola è necessaria. Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta»).

“Porro unum est necessarium” («una sola cosa è necessaria») sono le parole che Gesù, nel Vangelo di Luca (10, 42), rivolge a Marta, la quale, affannata in molte faccende, si lamenta che la sorella Maria rimanga seduta ai piedi del Signore ascoltando le sue parole, invece di darle aiuto nel servire il loro comune Maestro.

Giovanni Lamagna