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Non è tutto oro ciò che luccica. Una riflessione sui concetti di virtù, vizio, bene, male, piacere, dolore, altruismo, paura del piacere, sensi di colpa, masochismo.

Credo che non si possa sperimentare e praticare la virtù, se non si è quantomeno sfiorato, se non proprio praticato, il vizio.

Se, cioè, non se ne è avvertita, quantomeno, la tentazione.

Una virtù, che non ha conosciuto (nel senso che non sa manco cosa sia) il vizio, è primitiva, ingenua, dunque inconsapevole. E, quindi, non è una vera virtù.

La virtù, infatti, la vera virtù, è sempre il frutto di una scelta. Di una scelta consapevole.

Ma questa, per essere tale, ha bisogno che ci sia piena conoscenza dei due o più elementi tra i quali essa va fatta.

Nel caso della virtù, che ci sia conoscenza del bene, da realizzare. Ma anche del male, da evitare.

Altrimenti non è una scelta. E’ una via obbligata, che in quanto tale non implica nessun merito. E, quindi, non è manco una virtù.

I bambini, ad esempio, non possono essere definiti virtuosi, perché in essi non c’è la cosiddetta malizia, cioè la conoscenza del male.

Come, d’altra parte, non possono neanche essere definiti cattivi, anche quando commettono un’azione oggettivamente cattiva. Perché essi non hanno “la conoscenza del bene e del male”.

La virtù, inoltre, non è virtù quando è paura del piacere.

Ci sono parecchi “virtuosi” che identificano il male con il piacere e, quindi, evitano il più possibile il piacere. E si ritengono per questo virtuosi.

Qui si ha un vero e proprio inganno.

Perché il piacere, il nostro piacere, non è affatto un male. Anzi, in sé, è un bene. Se non fa del male agli altri.

Il piacere, il nostro piacere, diventa un male, quindi un vizio da evitare, solo quando procura un male agli altri.

Per conseguenza non è il piacere in sé che va evitato e sfuggito. Ma solo il piacere che possiamo provare con danno degli altri.

Il piacere, dunque, può andare benissimo d’accordo con la virtù.

Anzi la vera virtù, in prima istanza, persegue sempre il piacere e non il dolore (come invece molti intendono).

Rinuncia al proprio piacere, da cui pure è attratta, (ecco qui la scelta, di cui si parlava prima) solo quando esso può arrecare danno a qualcuno altro.

Non, dunque, perché lo disprezzi, ma perché non vuole fare del male agli altri.

E’ solo in un’ottica altruistica che la rinuncia al piacere è realmente e autenticamente virtuosa.

Quando questa, invece, si fonda sulla (più o meno inconscia) paura del piacere, sui sensi di colpa collegati al piacere (che in noi umani nevrotici sono più frequenti di quanto si pensi) essa non è affatto una virtù, ma è solo puro masochismo.

Più o meno grave a seconda dei casi.

Anche in questo caso vale il vecchio adagio: non è tutto oro ciò che luccica.

Giovanni Lamagna