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Le opere dei filosofi antichi.

Le opere dei filosofi antichi – come acutamente e opportunamente ci ricorda Pierre Hadot – hanno molto più le caratteristiche della parola parlata che di quella scritta.

E, infatti, esse sono, in genere, i resoconti trascritti di lezioni o addirittura di conversazioni (dialogoi).

Hanno, quindi, i tempi – necessariamente brevi e limitati – di una lezione o di una conversazione.

Di conseguenza l’opera complessiva dei filosofi antichi ha i caratteri della frammentarietà piuttosto che quelli della costruzione organica e sistematica, propri delle maggior parte delle opere filosofiche successive, forse a partire da Tommaso d’Aquino con la sua “Summa”.

© Giovanni Lamagna

A cosa serve scrivere?

Sempre leggendo Montaigne (“Saggi”; Libro I; cap. VIII), annoto.

Lo scopo fondamentale della scrittura è quello di riordinare le idee.

La scrittura, infatti, le ferma e perciò stesso le stabilizza.

Molto più e molto meglio di quanto non possa e non riesca a fare la parola parlata.

© Giovanni Lamagna

Parola scritta e parola parlata

Prendo a prestito un pensiero di Fabrizio Coscia, che ho trovato nel suo libro “Eravamo soli” a pag. 205, per fare alcuni approfondimenti personali:

… qualsiasi testo scritto per qualcuno attende una risposta, e anche l’assenza di risposta è, di per sé, una risposta. Intanto io scrivo perché tu mi legga, e perché ti lasci penetrare adagio dalle mie parole, e perché possa amarmi ancora di più dopo aver letto. E mentre leggi, aspetto, in preda all’ansia.

Trovo stupendo questo pensiero: mi esprime perfettamente. Credo che renda meravigliosamente bene l’idea di cosa è la scrittura.

Innanzitutto dice (ed anche io lo penso) che nessuno scrive per se stesso; o, perlomeno, solo per se stesso.

Chi scrive lo fa sempre per qualcun altro/a. Fosse anche un/a perfetto/a sconosciuto/a. E attende, quindi, una risposta.

La scrittura perciò (come qualsiasi altra forma di comunicazione, ma la scrittura lo è in modo particolare) è sempre un atto d’amore.

E, come ogni atto d’amore, attende un riscontro.

L’amore che non riceve riscontro, che non è riamato, è, infatti, un amore impotente, un amore abortito, irrealizzato, ovviamente infelice.

E’ vero, poi, che, anche quando non c’è risposta, la risposta in realtà c’è stata lo stesso: è nei fatti un diniego, un rifiuto all’offerta d’amore da noi fatta, al canale di comunicazione, di contatto, da noi aperto.

La scrittura, inoltre, (al contrario della parola parlata, che si impone di per sé, ed è quindi in un certo senso un atto di violenza: l’altro è costretto ad ascoltarla anche se non vorrebbe) è uno strumento di comunicazione assolutamente nonviolento, direi perfino dolce: l’altro, infatti, può anche rifiutarsi di leggere quello che io gli ho scritto. Mentre non può fare a meno di ascoltare la parola parlata che gli rivolgo: dovrebbe solo turarsi le orecchie o allontanarsi dalla mia presenza.

La scrittura, infine, è un mezzo di comunicazione lento. Al contrario della parola parlata che è, invece, un mezzo di comunicazione veloce.

Lo è in un duplice senso: sia perché scrivere richiede più tempo che parlare; sia perché leggere richiede (di solito) più tempo che ascoltare.

Sulla parola ascoltata, infatti, non possiamo ritornare più: o ci è entrata dentro o ci è sfuggita per sempre; per recuperarla dobbiamo chiedere che essa venga ripetuta; e non sempre l’altro è disposto a ripeterla.

Sulla parola scritta, invece, noi possiamo tornare e ritornare più volte, tutte le volte che vogliamo. Possiamo quindi consentire che essa ci penetri lentamente, dolcemente, quasi come in un amplesso tantrico.

Tra lo scrittore e il lettore consenziente viene quindi a stabilirsi un vero rapporto d’amore, oserei dire addirittura erotico, tanto più intenso quanto più la lettura è lenta, ripetuta, profonda.

Ovviamente chi scrive, al momento in cui scrive, non ha alcuna certezza che tutto questo avvenga, così come l’amante che va all’incontro con la persona amata non ha alcuna certezza che l’incontro vada a buon fine.

Per cui è naturale che una certa, buona, quota d’ansia sia presente in chi scrive, nel momento in cui indirizza al suo ipotetico lettore la sua pagina scritta.

Ansia che verrà placata (in tutto o in parte) solo nel momento in cui lo scrittore riceverà una risposta (qualsiasi essa sia; meglio, ovviamente, se di condivisione e gradimento) dal suo lettore.

Giovanni Lamagna

A cosa obbedisce il bisogno di scrivere.

26 luglio 2015

A cosa obbedisce il bisogno di scrivere.

Ha ragione Domenico Starnone, quando in una intervista, alla domanda “A cosa obbedisce il bisogno di scrivere?”, risponde più o meno così: “Al bisogno di mettere ordine nella propria vita.”

Starnone risponde da scrittore narratore di storie quale egli è.

Ma la stessa risposta credo possa darla un qualsiasi tipo di scrittore, anche quello che scrive di saggistica.

Anzi, forse, a maggior ragione il saggista, che scrive utilizzando il registro della pura logica, del pensiero analitico, laddove il narratore si affida piuttosto al libero fluire delle emozioni.

E, aggiungo, la stessa risposta potrebbe darla qualsiasi persona (anche quella che scrittore “ufficialmente” non si può definire, perché non ha scritto libri, né saggi, né articoli di giornali…), la quale avverta il bisogno di raccontarsi nella scrittura con l’obiettivo del tutto gratuito e disinteressato di mettere sul foglio di carta (o sulla pagina del computer) le proprie emozioni e i propri pensieri.

Anche solo per se stesso, senza far leggere a nessuno le cose da lei scritte. Come avviene, ad esempio, quando si scrive un diario.

La scrittura (qualsiasi tipo di scrittura), ancora più della parola parlata, obbedisce al bisogno/desiderio di mettere ordine nella propria vita interiore, nel mondo delle proprie emozioni, dei propri sentimenti, dei propri pensieri.

E’ un modo di comunicare con l’Altro da Sé, di mettere pace tra il Sé e l’Altro da Sé.

Giovanni Lamagna