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Gli incontri non sono mai casuali

27 marzo 2015
Gli incontri non sono mai casuali.
Sono abbastanza convinto che gli incontri non avvengano mai per caso.
Ovviamente non sto parlando degli incontri “mordi e fuggi”, che durano lo spazio di un istante, che sono un semplice sfioramento di corpi, senza che quasi manco ci si accorga l’uno della presenza dell’altro.
Per quanto anche in questi casi ci sarebbe da (e si potrebbe) approfondire se tali incontri “mordi e fuggi” non rimangono tali a causa della nostra superficialità, della nostra incapacità a cogliere i segnali e le opportunità che ci vengono da essi o, invece, a causa della pura contingenza e necessità delle cose.
Se sono in un aeroporto e incrocio per un attimo una persona al check-in, probabilmente prevale la seconda ipotesi.
Se, però, incontro una persona in treno e mi ci metto a parlare per tutto il tempo del viaggio (più o meno lungo) e questa persona suscita il mio interesse ed io il suo, ma poi, quando arriviamo a destinazione, ognuno prende la sua strada, come se l’incontro fosse stato puramente fortuito e casuale, allora, forse, può anche valere la prima ipotesi.
A maggior ragione la mia tesi vale quando l’incontro avviene sulla base di un’attrazione (anche solo fisica), della condivisione di interessi e di valori, di circostanze di vita che tendono a ripetersi e prolungarsi, di una frequentazione costante o anche solo periodica.
Allora, in questi casi, l’incontro non è mai casuale. E’ avvenuto sulla base di una intenzionalità più o meno inconscia, più o meno consapevole. In qualche modo era ricercato, era voluto, era – si potrebbe dire -nelle cose, qualcun altro potrebbe anche dire “destinato” ad avvenire.
Perché? Cosa c’è dietro un incontro? Che cosa lo rende meno casuale di quello che appare ad uno sguardo superficiale? Quali elementi e fattori in un certo senso lo programmano, lo rendono inevitabile, quasi il frutto di un destino?
Per rispondere a queste domande occorre, a mio avviso, partire da una premessa. Ogni essere umano è chiamato a realizzare un potenziale; Victor Frankl, un grande psicologo austriaco, diceva “un compito”; e, infatti, a un suo libro famoso, la sua autobiografia, diede il titolo di “La vita come compito”.
L’essere umano può esserne più o meno consapevole, ma questo compito, questo potenziale da realizzare esiste. Ne parlava anche Gesù nella famosa parabola dei talenti.
Poi ognuno di noi può decidere di investire questi talenti e farli sviluppare, crescere; oppure può conservarli e nasconderli in un cassetto o, addirittura, sottoterra e farli deprezzare: questa è una sua scelta.
Ma non può negare di avere dei talenti a sua disposizione, più o meno cospicui, ma comunque talenti; in termini di capacità fisica (forza, bellezza, sensualità…), di emotività e affettività, di intelligenza, di saperi acquisiti nell’ambiente natio (famiglia, vicinato, quartiere…).
Ognuno di noi è, insomma, chiamato (se non altro chiamato, anche se poi non tutti rispondono a questa chiamata) ad evolvere, a non rimanere tale e quale a come era alla nascita, a sviluppare i suoi talenti, il suo potenziale.
Ora, per fare questo, fondamentali, decisivi, sono gli incontri che facciamo nella nostra vita. La maggior parte o molte delle cose che apprendiamo dipendono dalle persone che incontriamo; o, meglio, che “decidiamo” di incontrare.
E qui torno al discorso iniziale. Io, in ogni momento della mia vita, in un certo senso, decido chi incontrare e chi non incontrare. Più o meno inconsciamente o consciamente, sono alla ricerca di quella/e persona/e da cui posso prendere le cose che mi servono per evolvere e a cui posso dare (perché è un compito anche quello di dare) le cose che servono a lei, in uno scambio di reciproco arricchimento.
E, quando la incontro, la “trattengo”, me la “tengo cara”, perché essa (a voler usare un termine che può sembrare cinico, ma, secondo me, è efficace ed appropriato) mi “serve”.
Per questo molte volte (se non il più delle volte) noi andiamo a cercarci, a incontrare, persone molto diverse da noi: la persona introversa quella estroversa, la persona istintiva e passionale quella più meditativa e riflessiva, la persona attiva quella contemplativa, la persona pratica e portata alla manualità quella intellettuale e più portata alla teoria, la persona coraggiosa e audace quella più prudente e consapevole…
Da ciascuna di esse prendiamo quello che ci “serve”, cioè quello che ci manca, la parte di noi che è più carente e che vogliamo sviluppare.
Giovanni Lamagna