Archivi Blog

L’altro e la mia immagine dell’altro.

14 marzo 2016

L’altro e la mia immagine dell’altro.

Ognuno di noi quando entra in contatto con un altro(o un’altra) si forma di lui(lei) un’immagine. L’altro/a è (almeno per noi) ciò che di esso/a percepiamo.

Il rapporto con l’altro/a non è quindi possibile se non grazie a questa percezione, a questa immagine che ci formiamo di lui/lei.

Ora può succedere che questa percezione, questa immagine siano del tutto false, che corrispondano cioè solo molto parzialmente (o, addirittura, per nulla) a ciò che l’altro/a è veramente. O al modo in cui l’altro si percepisce, a ciò in cui l’altro/a si riconosce, insomma all’immagine che l’altro/a ha di sé.

Può darsi, infatti, che l’immagine che mi sono formato dell’altro/a non sia che il risultato di una mia proiezione (più o meno inconscia). Che sia cioè il frutto di miei desideri, di mie aspirazioni; o di mie precedenti esperienze relazionali (alle quali sono rimasto “fissato”), che si sovrappongono alla nuova e me la fanno percepire come analoga, se non addirittura identica. Perciò (e solo per questo) desiderabile.

In questo caso il rapporto con questa persona con cui siamo entrati in contatto o si esaurisce nel breve istante di un incontro e finisce là. Perché capisco subito che l’immagine che mi sono fatto dell’altro/a non corrisponde alla “sua” realtà, ma è solo una mia proiezione.

Oppure, se il rapporto va avanti, vivrà di contrasti continui, di conflitti inevitabili ed estenuanti. Diventerà una specie di braccio di ferro.

Io, infatti, tenderò (irrazionalmente) a cercare nell’altro/a conferme dell’immagine che mi sono formato di lui/lei. A volerlo insomma uguale all’immagine che mi sono fatto di lui/lei. Questi/a cercherà (naturalmente) di difendere, affermare la sua immagine di sé, la sua identità. A voler restare se stesso/a.

Perché un rapporto vada avanti sereno, se non proprio felice, occorre che l’immagine che io ho dell’altro/a e quella che l’altro/a ha di se stesso/a in qualche modo coincidano.

Più coincidono (anche se non potranno mai coincidere del tutto, dal momento che in ogni caso cambia il punto di vista della percezione) e più il rapporto sarà sereno o, addirittura, almeno in certi momenti, felice.

Occorre, insomma, che io veda l’altro/a così com’è. E non come vorrei o mi piacerebbe che fosse.

Per cui, quando scopro che l’idea che mi ero fatto dell’altro/a è diversa (ancora di più quando scopro che è molto diversa) da quello che l’altro/a è in realtà, forse è meglio che io interrompa il rapporto. Che mi rivolga e guardi altrove.

Se non voglio che il rapporto, anziché un incontro, diventi uno scontro, anziché un abbraccio o una carezza diventi un tiro alla fune o un braccio di ferro. Che non fa bene né a me né all’altro/a.

Giovanni Lamagna

P.S.

Quello che ho scritto sopra è senz’altro vero. Almeno per me.

Ma, adesso che l’ho letto e riletto più volte, mi accorgo che è vero solo in parte, che è solo una parte della verità dei rapporti. E’ la faccia di una medaglia, che, però, ne nasconde un’altra.

Quale?

Proverò a descriverla in una prossima occasione.