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Su Confucio.

Ho letto con molto interesse le pagine che Vito Mancuso, nel suo “I quattro maestri” (Garzanti, 2020), dedica a Confucio. Che cosa ne ho ricavato?

Innanzitutto un’impressione di carattere generale: mi pare che Confucio non sia e non possa essere messo al livello degli altri tre grandi maestri (Socrate, Buddha e Gesù), cui Mancuso nel libro dedica altrettante monografie di un centinaio di pagine ciascuna.

Socrate, Buddha e Gesù hanno, infatti, detto, tutti e tre, parole che sono diventate pietre miliari nella storia del pensiero umano; quelle pronunciate da Confucio sono parole in molti casi di buon senso, ma non mi pare particolarmente illuminanti.

La testimonianza umana, in altre parole l’insegnamento di vita, di Socrate, Buddha e Gesù sono stati di radicale rottura con il modo ordinario di vivere dei loro contemporanei, tanto è vero che il primo e il terzo li hanno addirittura pagati col prezzo della vita.

Confucio, per carità, pure lui propugna un’ideale di vita e se ne fa testimone, credo fedele, integerrimo. Ma si muove, anche per scelta intellettuale e quindi consapevole, del tutto all’interno della tradizione del popolo cinese, senza operare rotture, anzi esaltandone la continuità.

Potremmo, dunque, con buone ragioni sostenere che Socrate, Buddha e Gesù rientrano, ognuno per ragioni diverse, nella categoria dei “rivoluzionari” o, quantomeno, dei sovvertitori del pensiero comune e ordinario.

Confucio pure lui fa una distinzione tra “uomo ordinario” ed “uomo nobile”, ma per lui l’uomo nobile è colui che, lungi dal volerle sovvertire, è perfettamente rispettoso delle tradizioni; Confucio, in altre parole, rientra nella categoria dei “conservatori”.

In ogni caso anche Confucio può essere considerato un uomo di grande spiritualità. L’uomo nobile, infatti, per lui si caratterizza non tanto per il casato e per il lignaggio, quanto per la “sensibilità umana”.

L’uomo dunque per lui non “nasce” nobile, ma “diventa” nobile nella misura in cui si educa a quello che egli definisce “il senso di umanità”, rispettoso della natura e degli altri suoi simili.

La seconda caratteristica dell’insegnamento di Confucio, che lo contraddistingue particolarmente rispetto a quello degli altri tre maestri di cui parla Mancuso, è che per lui vita interiore, disciplina spirituale, e vita esteriore, azione politica, camminano di pari passo.

La prima si manifesta nella seconda, la seconda rende esplicita e traduce all’esterno la prima. La seconda non ci sarebbe, non sarebbe possibile senza la prima. Ma anche la prima non avrebbe senso senza la seconda e quindi non può farne a meno.

Confucio è, quindi, un Maestro nell’arte della politica. Da prendere ad esempio, se per politica si intende la traduzione nella vita comunitaria e sociale dell’armonia che l’uomo spirituale si è costruita dentro.

Da non imitare (almeno a mio avviso) se per politica si intende un rispetto esagerato per le tradizioni e i rituali antichi e, soprattutto, per l’obbedienza, non dico acritica, ma comunque mai seriamente messa in discussione, nei confronti dell’autorità costituita.

© Giovanni Lamagna

Ricchezza, povertà, sobrietà

Io sono contro la esaltazione della ricchezza.

Ma sono anche contro il pauperismo, cioè contro la esaltazione della povertà, come ideale di vita.

Una cosa, infatti, è la povertà spirituale, intesa come virtuoso distacco dai beni materiali.

Altra cosa è la povertà come condizione materiale, intesa come penuria di beni, anche quelli necessari a condurre una vita dignitosa per un essere umano.

Tra la ricchezza e la povertà io non scelgo nessuna delle due.

Per me sono entrambe condizioni negative, da sfuggire, non certo da perseguire.

Io scelgo la sobrietà.

© Giovanni Lamagna