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I due movimenti fondamentali della vita spirituale.

Gli “esercizi spirituali”, di cui parla Pierre Hadot (“Esercizi spirituali e filosofia antica” 2005; Piccola Biblioteca Einaudi), sono fondamentalmente due:

1) quello di allenarsi a vivere costantemente nell’attimo presente, vincendo la tentazione di rifugiarsi nel ricordo nostalgico del passato o di alienarsi in progetti avveniristici per il futuro;

2) quello di viversi come una piccola, piccolissima parte del Tutto dell’Universo e, quindi, del Tutto costituito dalla comunità umana, senza farsi travolgere dall’angoscia che ciò potrebbe comportare, ma anzi godendo del “sentimento oceanico” che a questa esperienza può essere collegato.

Come ebbe a sperimentare felicemente Giacomo Leopardi quando scrisse una delle sue poesie più belle, “L’infinito”, che si conclude con queste parole meravigliose: “Così tra questa immensità s’annega il pensier mio: e il naufragar m’è dolce in questo mare.”.

Ora è interessante notare (e qui voglio evidenziarlo, chiosando le affermazioni di Hadot) come questi due esercizi prevedano due movimenti non solo diversi, ma addirittura contrapposti; eppure, allo stesso tempo, (misteriosamente) convergenti.

Il primo richiede, infatti, un movimento di concentrazione in sé stessi, di raccoglimento tutto interiore; come se la coscienza fosse chiamata a fermarsi e stabilizzarsi in un punto molto piccolo e ristretto, quello dell’attimo presente, dimenticando il passato e disinteressandosi al futuro.

Il secondo, invece, prevede il movimento opposto: una dilatazione, al massimo possibile, della coscienza fino ai confini estremi dell’Universo e della comunità umana.

Per chi ha vissuto un’esperienza mistico-contemplativa è del tutto chiaro, perché sperimentato e quindi verificato empiricamente, che questi due movimenti solo apparentemente sono opposti, mentre in realtà coincidono, fanno parte della stessa disposizione spirituale.

Sono i due movimenti/atteggiamenti che contraddistinguono l’homo religiosus.

Laddove con il termine “religiosus” non si intende solo (e neanche necessariamente) l’uomo di fede (in un’entità o in una dimensione trascendente).

Quanto piuttosto l’uomo che ha realizzato dentro di sé l’unione (il “religare”, appunto) delle diverse parti di cui si compone la sua psiche.

Parti, che, in una prima fase della sua vita (quella prespirituale) ogni uomo tende a vivere (in una maniera più o meno acuta) come separate, scisse, frammentate, a volte addirittura schizzate, cioè in conflitto l’una con le altre.

E che solo grazie alla vita spirituale, tramite appunto quelli che Hadot definisce “esercizi spirituali”, possono essere ricomposte in unità, per quanto relativa, per quanto precaria, provvisoria e, in ogni caso, sempre perfettibile.

Altrimenti sono destinate a rimanere fatalmente separate, scomposte, malate di una scissione che, col tempo, potrebbe addirittura cronicizzarsi e persino aggravarsi, accentuarsi.

© Giovanni Lamagna