Nevrosi e relazioni affettive.

6 ottobre 2016

Nevrosi e relazioni affettive.

La nevrosi, come tutti sappiamo, è essenzialmente una scissione. Una scissione tra due o più parti di sé.

Ad esempio, tra il principio del piacere e quello della realtà, tra le pulsioni del corpo e le istanze della mente, tra le esigenze dell’istinto e l’esigenza di controllare l’istinto.

Tutti quanti noi – chi più e chi meno – nasciamo scissi e dobbiamo confrontarci – prima o poi – con qualche scissione interiore.

Ma alcuni impegnano tutta la loro vita a ricomporla. Con risultati più o meno positivi e apprezzabili.

Altri, invece, preferiscono (o si rassegnano a) conviverci, “godendosi” il suo “vantaggio secondario”.

C’è sempre, infatti, un vantaggio secondario in ogni nevrosi. Un vantaggio che compensa il disagio, la sofferenza, l’insoddisfazione.

Fosse anche il vantaggio di non cambiare la via vecchia per la nuova, di non affrontare i rischi, le incognite che il cambiamento, necessario per uscire dalla scissione che ci fa soffrire, comporterebbe.

Alcuni, ad un certo punto della loro vita, riescono a liberarsi della propria scissione originaria o a trovare una soddisfacente unità interiore.

Ma può capitare che non riescano a liberarsi, invece, dalla scissione di coloro che li circondano, in modo particolare di quelli ai quali sono legati da rapporti affettivi, verso i quali hanno (o sentono) doveri di compassione e di solidarietà.

Questa scissione (presente nel contesto relazionale che li circonda) talvolta pesa su di loro quasi come quella interna, dalla quale almeno in parte magari si sono liberati.

E’ come se fosse il prolungamento della loro personale scissione (nevrosi) originaria, una nevrosi che potremmo definire in questo caso ambientale, che li perseguita, quasi come se fosse una maledizione da cui non riusciranno mai totalmente e pienamente a liberarsi.

Essa può manifestarsi nella loro madre o nel loro padre, in un fratello o in una sorella, nel compagno o nella compagna di vita o, addirittura, in un figlio o in una figlia. Perfino in un amico o in un’amica.

Quando si crea questa situazione si pone il problema di cosa fare di queste relazioni: interromperle perché esse fanno stare male? O limitare il danno, delimitando i tempi della frequentazione e della condivisione, senza rompere del tutto il rapporto, per non venir meno ai doveri della solidarietà e dell’affetto?

Scelta non facile da effettuare: in entrambi i casi peseranno condizionamenti e sensi di colpa, a volte molto acuti e profondi.

Giovanni Lamagna

Pubblicato il 6 ottobre 2016, in Psicologia con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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