Il serpente, Dio, la donna, la conoscenza del bene e del male. (Genesi 3, 1 – 3, 6)

27 settembre 2015

Il serpente, Dio, la donna, la conoscenza del bene e del male. (Genesi 3, 1 – 3, 6)

3, 1 Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio il SIGNORE aveva fatti. Esso disse alla donna: «Come! Dio vi ha detto di non mangiare da nessun albero del giardino?»

3, 2 La donna rispose al serpente: «Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare;

3, 3 ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: “Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete”».

3, 4 Il serpente disse alla donna: «No, non morirete affatto;

3, 5 ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male».

3, 6 La donna osservò che l’albero era buono per nutrirsi, che era bello da vedere e che l’albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne mangiò.

Il serpente si pone qui come l’opposto di Dio. E’ la sua Ombra. Dio sta in alto ed è puro spirito. Il serpente è l’animale che sta più in basso di tutti, attaccato alla terra, addirittura vi striscia.

Dio è autoritario, impone, comanda. Il serpente è subdolo, tenta, induce alla trasgressione.

Questa è la vita! Legge, ordine e voglia di trasgredire (da “trans – ire”: andare oltre) la legge, di rompere l’ordine. Per poi tornare alla legge, ricostituire l’ordine infranto. Ma su basi e in forme diverse.

Nella trasgressione si perdono delle cose, ma se ne acquistano altre. L’obbedienza intransigente, dura, inflessibile alla legge è staticità, fissità, morte. Occorre, dunque, disobbedire (talvolta, in certe circostanze) se si vuole restare vivi.

L’obbedienza – avrebbe detto don Milani – non è sempre una virtù. Anzi, almeno in talune circostanze, è sinonimo di vigliaccheria e tradimento del proprio profondo sentire e volere.

Allo stesso tempo però è essenziale il rapporto con la legge, dopo aver trasgredito bisogna ricostituire un nuovo ordine, , se non ci si vuole perdere in un godimento senza limiti, (apparentemente) infinito, (in realtà) mortifero.

La donna è qui l’immagine stessa della trasgressione: è la prima, infatti, a cedere al serpente; o ad avere il coraggio di disobbedire a Dio. Dipende dall’ottica in cui ci mettiamo e con cui vogliamo vedere le cose.

La donna trova che l’albero non solo era buono per nutrirsi, ma era anche bello da vedere e desiderabile per conoscere il vero. Buono, bello e vero sono (da che mondo è mondo) le parole che indicano le massime aspirazioni dell’umanità.

L’uomo e la donna (non ha importanza chi ne mangia per primo: ognuno è responsabile in prima persona delle sue azioni) non potevano non mangiare il frutto dell’albero della conoscenza, solo per obbedire a Dio. Se non lo avessero fatto, non sarebbero mai diventati pienamente umani.

(6, continua)

Giovanni Lamagna

Pubblicato il 27 settembre 2015, in antropologia, morale, Psicologia, Religione, società, Spiritualità, storia con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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