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Linguaggio e contenuti.

La prosa di Sigmund Freud è – quasi sempre – di una chiarezza adamantina, esemplare.

Eppure è utilizzata per esprimere concetti niente affatto semplici, meno che mai banali, anzi spesso molto complessi.

Dovrebbe essere di lezione, quindi, per quanti fanno generalmente ricorso ad un linguaggio oscuro, anche per esprimere concetti tutto sommato abbastanza semplici o, addirittura, elementari.

Come se si compiacessero nel non essere compresi.

E come se l’acutezza, la profondità e la complessità dei contenuti si misurassero dal linguaggio poco chiaro o addirittura incomprensibile ai più.

© Giovanni Lamagna

L’essenza della filosofia.

Martin Heidegger, in “Introduzione alla metafisica” (1935), così scrive: “L’essenza della filosofia non è di rendere le cose più facili e leggere, ma al contrario di renderle più difficili e pesanti. E questo, non a caso: infatti il suo modo di comunicare appare inconcepibile e addirittura pazzesco per il senso comune. Il compito autentico della filosofia consiste in realtà piuttosto nell’appesantimento dell’esserci storico e, in ultima analisi, dell’essere stesso. L’appesantimento conferisce alle cose, all’ente, il loro peso (d’essere). E questo perché? Perché l’appesantimento costituisce una delle condizioni fondamentali, essenziali, per la nascita di tutto ciò che è grande: in primo luogo il destino di un popolo storico e delle sue opere. Destino, però, c’è solo là dove un vero sapere sulle cose domina l’esistenza. Le vie e le prospettive di un tale sapere sono aperte dalla filosofia

Dico subito, in premessa, che questo testo heideggeriano ha suscitato in me, appena l’ho letto, un istintivo, immediato, moto di dissenso, quasi da riflesso condizionato.

L’ho poi letto e riletto più volte e credo di aver compreso lo spirito e l’intenzione da cui è partito l’autore e cosa egli intendeva dire.

Pur tuttavia continuo a non condividerne quantomeno la forma e il linguaggio: le stesse tesi io le avrei espresse come minimo in una forma diversa.

Qui di seguito proverò ad argomentare i punti su cui dissento e a indicare quelli su cui consento.

1.Certo, la filosofia non deve rendere facili e leggere le cose che sono oggettivamente difficili e pesanti! Ma, a mio modesto avviso, non deve neanche renderle più difficili e pesanti, come sostiene qui Heidegger; non capisco perché dovrebbe farlo.

Per una forma di snobismo o addirittura di sadismo, verso coloro che non hanno (ancora) gli strumenti per affrontare argomenti complessi? Per tenere lontani dalla filosofia i non addetti ai lavori?

Se fosse così (ed in alcuni casi, ad esempio, quello della maggior parte dei filosofi accademici, dei filosofi delle Università, mi pare che lo sia) riterrei tale atteggiamento del tutto insipiente, perché contrario al vero, originario, spirito della filosofia; quello, ad esempio, del primo grande filosofo della storia della filosofia, un certo Socrate.

2. Compito della filosofia è, semmai, quello di rendere semplici (che non equivale affatto a semplicistiche o banali) le questioni complesse, di renderle comprensibili non dico a tutti ma almeno ai più, anche a quelli che non fanno i filosofi di professione.

La filosofia, d’altronde, non è innanzitutto ed essenzialmente una professione; la filosofia è, prima di tutto e nella sua essenza, un’attitudine dello spirito, che tutti, chi più e chi meno, posseggono, almeno allo stato potenziale.

E su questa attitudine può e secondo me deve (o, meglio, dovrebbe) far leva chi per scelta di vita, prima ancora che professionale, ha deciso di dedicarsi a questa disciplina, che per me è pratica esistenziale, spirituale, prima che intellettuale.

3. L’appesantimento, infine, non è per me un valore aggiunto delle cose, degli enti, come sembra esserlo per Heidegger; perché le cose, gli enti hanno, invece, un valore in sé, a prescindere dal loro peso.

Vale, infatti, di più un bambino appena nato, un adolescente, un uomo maturo o un vecchio? Chi può dirlo e in base a quale spiegazione?

A meno che per appesantimento non intendiamo qualcosa che non si dà come scontato, come ovvio, ma che esige un lavorio, che è il risultato di una ricerca, a volte faticosa, talvolta addirittura travagliata.

Se per filosofia intendiamo un pensiero che non si accontenta della doxa, ovverossia dell’opinione corrente, ma che ha dovuto mettere in moto un pensiero riflessivo, critico, elaborato, faticoso, allora sono d’accordo: la filosofia esige la pesantezza.

Una pesantezza che, però, non è sinonimo di oscurità e nemmeno il contrario della leggerezza correttamente intesa; la leggerezza alla Italo Calvino, tanto per intenderci.

Perché, anzi, la filosofia, a mio avviso, dovrebbe aborrire il pensiero contorto e oscuro, per dare luce, luminosità a ciò che è buio, avvolto nelle tenebre.

E non solo – ripeto – per i pochi addetti ai lavori, per i cosiddetti professionisti della materia.

Ma per tutti coloro che hanno voglia e desiderio di scoprire la verità delle cose, che, in altre parole, per restare all’etimo, hanno “amore per la sapienza” (φιλεῖν (phileîn), “amare”, e σοφία (sophía).

© Giovanni Lamagna