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Cosa significa “meditare”?

Meditare per me è diverso dal semplice pensare; è qualcosa in più.

Pensare è qualcosa che obbedisce a delle regole precise, in qualche modo meccaniche, automatiche.

Quando faccio l’operazione 1 + 1 e arrivo al risultato che fa 2 sto pensando; ho fatto in questo caso un’operazione puramente mentale.

Quando, invece, arrivo al risultato che 1 + 1 può fare anche tre (come ci “insegna” la metafora del Dio Uno e Trino) sto meditando; ho fatto cioè un’operazione che va al di là delle pure regole mentali, le ri-vede, le trasforma, a volte (come in questo caso) addirittura le sconvolge.

In nome di una logica non solo mentale, puramente intellettuale, ma diversa, io dico addirittura superiore, perché fondata su una intuizione, che coglie altri aspetti del reale, che la pura intelligenza matematica o aritmetica non sarà mai in grado di cogliere.

E che, però, a pensarci bene, sta dietro il mistero della vita stessa.

Cosa accade, infatti, quando un uomo e una donna (ma anche due animali di sesso diverso) si congiungono e concepiscono una nuova creatura, se non il fatto (logicamente paradossale) che uno più uno fa tre e non due?

Vado avanti nella mia riflessione; quando ascolto una persona o leggo un testo e sto attento a capire le parole che ascolto o che leggo, sto pensando, sto facendo anche qui un’operazione soprattutto mentale, anche se non solo mentale; perché qui c’entra anche l’empatia, quindi entrano in gioco anche le emozioni e i sentimenti.

Ma, se ritorno una seconda volta o, addirittura, più volte sulle parole che ho appena ascoltate o lette, in questo caso non sto solamente, semplicemente pensando, sto, infatti, meditando.

Sto facendo, cioè, un’operazione che è qualcosa in più del semplice capire o del rispettare alcune procedure logiche, intellettuali, di puro ed esclusivo pensiero.

Capire, infatti, ha qualcosa a che fare col ricevere, col carpire, col prendere, con l’impossessarsi di un concetto.

Meditare ha a che fare, invece, piuttosto col dare, col produrre, con il generare, con il mettere a frutto ciò che ho capito, ciò che ho carpito, com-preso, ciò di cui sono entrato in possesso quando ho semplicemente pensato o solo visto, guardato qualcosa.

Capire mi fa pensare alla pianta che, per vivere, ha bisogno di ricevere periodicamente acqua e concime.

Meditare alla pianta che, dopo aver assorbito acqua e concime, produce prima fiori e poi frutti.

Capire ha a che fare prevalentemente con l’ascoltare e il leggere.

Meditare piuttosto con il parlare (anche solo con sé stessi) e con lo scrivere (fosse anche solo una pagina di diario).

So bene, lo leggo dai vocabolari, che la parola “meditare” deriva dal latino “meditari”, che, a sua volta, deriva dalla parola “mederi”, che vuol dire “curare”, raccostato nel significato al greco “μελετάω”, che equivale a “curarsi di” o “curare qualche cosa”, dopo aver (appunto) riflettuto, pensato; equivale, potremmo dire anche, a “medicare” (vedi vocabolario Treccani).

Ma a me piace pensare che la parola “meditare” abbia a che fare anche con questa etimologia: “medium + ire”; ovverossia con l’andare, l’entrare in mezzo, cioè dentro, nel cuore delle cose, oltre la loro apparenza superficiale, semplicemente fenomenica, fisica, materiale; per coglierne l’anima, il senso profondo.

Per riceverne in primis alimento spirituale e poi, in seconda battuta, comunicarlo, socializzarlo, donarlo a tutti coloro coi quali abbiamo a che fare, coi quali entriamo in contatto, in relazione.

Questo secondo movimento, infatti, viene naturale, spontaneo, dopo aver meditato.

E qui mi sovviene la famosa frase di Tommaso d’Aquino contenuta nella sua “Summa Theologiae”: “contemplata aliis tradere”; divenuta poi motto dell’Ordine Domenicano.

Che potrebbe essere – io penso – condiviso dalla maggior parte degli uomini di pensiero, anche da quelli del tutto alieni da qualsiasi fede religiosa.

© Giovanni Lamagna

Creatività

Per creatività possiamo intendere la capacità di produrre qualcosa di nuovo dal nulla o la capacità di rendere nuova, di ricreare, qualcosa che è già presente in natura.

Il primo tipo di creatività è una prerogativa esclusivamente divina (ammesso che esista un Dio) ed è del tutto preclusa all’uomo.

Il secondo tipo di creatività è il solo a cui può accedere l’uomo, ma costituisce un ampio terreno di ricerca, di esplorazione e di produzione.

Dall’arte alla filosofia, alla scienza, alle relazioni interpersonali.

Purtroppo gli uomini, pur essendovi predisposti, la praticano poco.

Si accontentano di frequentare territori già noti, di ripetere, riprodurre, anziché produrre e ricreare.

© Giovanni Lamagna