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L’artista e l’opera d’arte.

Io penso che, quando un artista realizza un’opera d’arte (una vera, riuscita, opera d’arte, quella che fa sgranare i sensi di noi spettatori di fronte all’epifania della bellezza) è perché essa, in un certo senso, gli si impone.

Nel momento in cui un artista si accinge a realizzare la sua opera è mosso da una forza alla quale non può resistere: in quel dato momento egli non può non farla, anzi non può fare altro.

L’opera d’arte viene realizzata, quindi, in uno stato di necessità, sotto la spinta di una forza interiore alla quale l’artista non può opporsi.

Pertanto l’opera d’arte, in un certo senso, si fa da sola; l’artista ne è “soltanto” il veicolo, lo strumento, l’esecutore materiale.

Ovviamente indispensabile, insostituibile, perché permette all’ispirazione (tutta interiore) di farsi opera, cioè realtà anche esteriore.

Senza il suo lavoro, infatti, – è del tutto ovvio – l’opera resterebbe un’idea, un conato, un soffio dello spirito, soffocato ancor prima di nascere.

Ma, ripeto, a mio avviso, l’artista è “solo” lo strumento, un semplice strumento, di esecuzione di un’idea, di un’ispirazione.

Quasi come quello che egli usa per renderla realtà: il pennello (nel caso del pittore), lo scalpello (nel caso dello scultore), la penna o il computer (nel caso dello scrittore), il violino, il pianoforte, la tromba… (nel caso del musicista).

© Giovanni Lamagna