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Feuerbach, la religione e l’ateismo.

Feuerbach è un grande! Ha avuto delle intuizioni geniali.

Ha compreso, in modo particolare, la funzione delle religioni nello sviluppo culturale, cioè nella crescita dei livelli di consapevolezza dell’Umanità.

La religione è servita per sviluppare nell’uomo la dimensione dell’Altro da Sé.

Ha adempiuto, potremmo dire, a livello sociale e collettivo, alla stessa funzione a cui adempiono, ad un livello individuale e personale, la figura materna e quella paterna.

La religione ha aiutato l’uomo a crescere, a vedersi come in uno specchio, a riconoscere le sue possibilità e potenzialità, i suoi poteri.

Ed è stata questa la funzione positiva della religione: una grande funzione!

Senza la religione, infatti, l’uomo sarebbe rimasto una bestia, incapace di avere una coscienza riflessa, incapace di guardarsi allo specchio, incapace di dialogo con l’Altro da Sé, senza parola, senza linguaggio, afono, infantile (nel senso etimologico del termine).

Ma c’è anche – ci dice Feuerbach – una funzione negativa della religione.

Che è quella di onnipotentizzare l’Altro da Sé, di viverlo come una Entità realmente e totalmente separata da sé, assoluta e del tutto superiore. Alla quale, quindi, sottomettersi, di cui diventare schiavo (religioni primitive) o essere tutt’al più figli (Cristianesimo).

L’uomo religioso è destinato, quindi, alla schiavitù o ad una figliolanza senza termine. A restare, quindi, eternamente subalterno, inferiore.

L’uomo non religioso, l’uomo che si libera di Dio, l’uomo ateo (senza Dio), non perde l’autocoscienza, trovata grazie alla religione, ma prende consapevolezza che l’Altro da Sé, a cui con la religione aveva attribuito i caratteri della divinità, altro non è che la proiezione di sé. Quindi una sua produzione.

Una produzione necessariamente e per forza di cose autolimitante, ma non schiavizzante, non repressiva.

L’uomo ateo è l’uomo liberato, finalmente consapevole di sé, diventato finalmente adulto. L’uomo cresciuto, che non ha più bisogno di un Padre (e di una Madre), da cui dipendere e da cui farsi condurre per mano. E’ l’uomo che finalmente riesce a camminare da solo, poggiandosi esclusivamente sulle sue gambe.

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  1. S. Questa riflessione abbisogna, però, di una postilla.

Infatti, c’è l’ateo che si libera di Dio, ma conserva il rapporto con “l’altro da sé”; l’ateo che non ha più bisogno di figure genitoriali perché è oramai diventato adulto, quindi genitore di se stesso.

E, però, c’è anche l’ateo che si è ribellato a Dio, che ne rifiuta l’autorità paterna, genitoriale, ma non se ne è veramente liberato, ne è ancora succube, nonostante le apparenze, perché ha introiettato i suoi dettami, divieti, censure e lo vive come un incubo, un Super Ego ancora ben presente, anzi opprimente.

Quest’ateo è come l’adolescente ribelle, che si rivolta capriccioso contro l’autorità dei suoi genitori, ma in fondo ne è ancora molto dipendente. E’ l’adolescente non ancora diventato adulto e che, forse, non lo diventerà mai. E’ l’adolescente che si è fermato (Freud avrebbe detto “fissato”) nella terra di mezzo, non ha mai attraversato fino in fondo il guado che separa la fanciullezza dall’età adulta.

E’ l’adolescente che vive e coltiva un futile e sciocco senso di onnipotenza, senza coscienza dei propri limiti e della propria condizione mortale. E’ l’uomo destinato a vivere in uno stato di perenne frustrazione nello scontro tra la sfrenata ambizione del proprio Ego, fattosi centro del Mondo, e la dura realtà, sempre pronta a ridimensionarlo.

Non è questo, però, a me sembra, l’ateismo di cui parlava Feuerbach. E’, semmai, (forse) quello esaltato e vissuto da Nietzsche. Che non a caso, a mio avviso, ha avuto un esito esistenziale disastroso, di natura psichiatrica: la perdita del senno, la pazzia.

Giovanni Lamagna