Recensione del libro “Il profumo del tempo” di Byung – Chul Han.

Il libro di Byung – Chul Han “Il profumo del tempo” (editore Vita e Pensiero) è una interessante e utile meditazione su ciò che è diventato il tempo per l’uomo a partire dalla modernità fino alla nostra contemporaneità.

In modo particolare sull’accelerazione che esso ha via, via subito in maniera sempre più vistosa, anche per l’invenzione di macchine che hanno sostituito sempre più l’azione dell’uomo, rendendola sempre più veloce, fino a dettarne i tempi.

Fino a che, come è diventato manifesto ai nostri giorni, non è più l’uomo padrone del suo tempo, ma è il tempo che si impone all’uomo come suo padrone, che costringe l’uomo ad andare ai suoi ritmi sempre più vorticosi.

Questa velocizzazione del tempo va di pari passo con una perdita di senso e di valore: del tempo stesso, ma anche dell’intera esistenza e delle cose di cui l’uomo viene in possesso.

Qui Byung-Chul Han fa una interessante analisi, a partire dalla domanda: è l’accelerazione sfrenata del tempo che porta alla perdita di senso e valore o è questa seconda che causa la prima?

Per Byung-Chul Han è la perdita del senso dell’esistenza che innesca un processo di velocizzazione estrema, quasi che l’uomo, smarrito (di fronte alla scomparsa, anzi alla morte stessa di Dio) e senza ragioni assolute (nel senso di metafisiche) per vivere, volesse stordirsi, ubriacarsi per continuare a vivere.

Io credo che questa tesi sia francamente esagerata: penso piuttosto che l’un fattore provochi l’altro e viceversa e che entrambi si rafforzino a vicenda.

Lo smarrimento dell’uomo di fronte alla morte di Dio provoca la sua esigenza di ubriacatura e velocizzazione estrema dell’esistenza.

Ma questa, a sua volta, rende impossibile all’uomo, incapace di fermarsi e di “indugiare sulle cose” (per usare un’espressione di Byung-Chul Han), di trovare un senso nelle cose.

Nella sua riflessione/meditazione Byug-Chul Han incontra molti pensatori e si confronta con loro. In modo particolare Aristotele, Agostino, Gregorio Magno, Tommaso d’Aquino, Marx, Heidegger, Proust, Arendt, Bauman.

Particolarmente interessante trovo la polemica che egli sviluppa con Marx e la Arendt a proposito di vita attiva e vita contemplativa, di homo laborans e homo meditans.

Come sappiamo, la Arendt esalta la vita attiva rispetto alla vita contemplativa, così come Marx esaltò l’homo laborans in quanto creatore di se stesso.

Per contro Byung-Chul Han afferma la necessità di una vita contemplativa che si affianchi alla vita attiva (tesi a suo tempo già sostenuta da Gregorio Magno) e sia capace di darle senso e significato.

La frase che ne riassume il pensiero mi sembra la seguente: “La vita contemplativa senza azione è cieca. La vita activa senza contemplazione è vuota” (pag, 129)

A Marx Byung-Chul Han contesta l’unilateralità del suo concetto di liberazione del lavoratore. Pe Marx la liberazione del lavoratore sembra consistere essenzialmente (se non proprio esclusivamente) nella riappropriazione del prodotto del suo lavoro. E, quindi, nella sua emancipazione dallo sfruttamento del capitalista.

Per Byung-Chul Han la liberazione dell’homo laborans non può consistere solo in quello che sosteneva Marx. Perché il lavoratore, una volta liberatosi dal giogo capitalista, corre il rischio di diventare schiavo del suo stesso lavoro (oltre che del prodotto del suo lavoro, in quanto consumatore acritico).

Per Byun-Chul Han ci sarà vera e piena liberazione dell’homo laborans quando egli sarà capace di recuperare la dimensione della scholé (tempo libero, contrapposto all’a-scolia, cioè il tempo occupato dal lavoro)e del bios theoretikos di Aristotele; e quella dell’otium (contrapposto al negotium, cioè il  nec-otium) degli antichi romani.

Quando l’otium non sarà più inteso come una semplice pausa/riposo rispetto all’attività ritenuta anche da Marx fondamentale e centrale del lavoro (che detta anche i tempi dell’intera esistenza dell’uomo), ma sarà, anzi, l’attività principale, quella che lo rende propriamente uomo, in quanto tempo dedicato alla sua attività più specificamente umana: quella teorica, del pensiero, della contemplatio veritatis.

Giovanni Lamagna

Pubblicato il 5 novembre 2017, in antropologia, Filosofia, morale, politica, Psicologia, Recensioni, scienza, società, Spiritualità, storia con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. Lascia un commento.

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