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Chi è l’uomo di cultura?

Qualche giorno fa parlavo con un amico, professore universitario, anzi professore emerito dell’Università di Napoli: quindi non proprio una persona qualunque.

Che, ad un certo punto della nostra conversazione, mi ha detto con molto candore e umiltà, come in un empito di sincerità: io so di non essere una persona colta.

Questa sua confessione sulle prime mi ha spiazzato e non sono stato capace di replicargli nulla, manco una semplice parola di circostanza.

Quando sono tornato a casa, ho ripensato alle parole del mio amico e nei giorni successivi di tanto in tanto mi sono tornate in mente.

Oggi sono in grado di mettere a fuoco cosa avrei potuto e forse anche dovuto dirgli.

E credo sia utile riportare la mia riflessione, perché penso possa essere di una qualche utilità non solo per lui, ma anche, anzi soprattutto, per me; e forse (spero) anche per qualcun altro.

Parto, allora, da una premessa, anzi da una domanda che mi sembra -di necessità – preliminare alla riflessione che voglio fare: chi è un uomo di cultura?

E’ l’uomo erudito, ricco di nozioni, il cui scibile spazia facilmente da un campo all’altro del sapere senza (quasi) confini e limiti?

Se fosse così, il mio amico avrebbe ragione a non ritenersi un uomo di cultura. Ed io – a maggior ragione – ancora più di lui.

Ma l’uomo di cultura è essenzialmente e in primo luogo l’uomo erudito?

Io a questa domanda rispondo senza alcuna esitazione: no; per me erudizione e cultura non sono la stessa cosa.

Per carità, non si escludono, anzi sarebbe bene che si sommassero; ma non sono esattamente la stessa cosa.

L’uomo erudito è per definizione l’uomo che accumula nozioni. Le affastella, le sistema nella sua cantina interiore ed ogni tanto le tira fuori, come l’appassionato di vini tira fuori ogni tanto le bottiglie che ha accumulato nel corso degli anni.

L’uomo erudito (sto parlando qui dell’uomo soltanto erudito, non di colui che accompagna all’erudizione la vera cultura) è incapace di fare sintesi delle sue nozioni, mettendole in relazione, e, soprattutto, è incapace di adoperarle in maniera creativa, utilizzando le nozioni in suo possesso per esprimere giudizi e valutazioni, non banali, ma originali, starei per dire sapienziali.

L’uomo di cultura, invece, è proprio colui che sa trovare sempre dentro di sé un’ispirazione originale, a partire ovviamente dalle (poche o molte) nozioni e informazioni che possiede.

Che non si limita cioè a riferire nozioni, ma sa utilizzare le nozioni in suo possesso in maniera creativa ed originale, personalizzata: sa esprimere cioè il suo proprio, irripetibile, punto di vista sulle cose.

Ovviamente sulle cose di cui ha una qualche conoscenza, non sulle cose di cui è del tutto ignorante e all’oscuro; perché in questo caso la sua sarebbe pura e arrogante, oltre che ingenua e stupida, presunzione.

L’uomo di cultura, quindi, non è tanto colui che possiede una quantità enorme di nozioni, né l’uomo capace di spaziare in una molteplicità di campi del sapere.

Quanto colui che nel campo del sapere di cui è esperto è capace di esprimere giudizi e valutazioni autonomi e creativi.

La cultura quindi non ha a che fare tanto con la dimensione della quantità ma piuttosto con quella della qualità

Anche se poi ovviamente non tutti gli uomini di cultura possono essere collocati allo stesso livello: ci sono quelli di piccola, quelli di media e quelli di grande o addirittura grandissima cultura.

E qui, in qualche modo, rientra la dimensione della quantità.

Per cui è uomo di grandissima cultura solo colui che alla qualità e profondità dei giudizi è in grado di unire anche la vastità delle conoscenze e delle nozioni apprese.

In ogni caso, però, anche nell’uomo di grandissima cultura faremmo bene a distinguere il grano dal loglio: la vera e autentica cultura dalla pura e semplice erudizione.

© Giovanni Lamagna

P. S.

Due giorni fa, proprio quando decidevo di mettere in rete questa mia riflessione, sul “venerdì di Repubblica” ne ho trovata una di Michele Serra sullo stesso tema.

La riporto in forma integrale, perché mi pare che dica (e l’autorevolezza di Serra ovviamente me le conferma) cose non molto dissimili da quelle da me sostenute sopra.

Cultura è riuscire a mettere in relazione tra loro un certo numero di nozioni.

Se una persona ha mille nozioni, ma non sa metterle in relazione tra loro, ha meno cultura di una persona che ha solo dieci nozioni, ma è capace di metterle in relazione.

Ovviamente, più colto di entrambi sarà chi ha mille nozioni ben connesse tra di loro.

Dunque la cultura è una qualità (è l’attitudine a guardare le cose del mondo cercando spiegazione di come sono e perché sono diventate così), ma è meglio se può giovarsi anche di una quantità, che è il numero di nozioni in proprio possesso.”

A chi parla (o dovrebbe parlare) un uomo di cultura?

Non mi piacciono le persone ( cosiddette) di cultura che parlano e scrivono solo per gli addetti ai lavori, quindi in maniera poco chiara o addirittura incomprensibile ai più.

Che utilizzano, ad esempio, un periodare estremamente lungo e articolato, quando non decisamente circonvoluto (o, peggio, involuto), e un lessico estremamente sofisticato, facendo ricorso a parole che sono di uso raro ed elitario.

Mi piacciono al contrario coloro che parlano e scrivono in maniera chiara, limpida, in grado di farsi comprendere, se non proprio da tutti, almeno da coloro che hanno una cultura media, che mi verrebbe di definire “a livello liceale”.

Dico liceale, perché questo livello di cultura mi appare abbastanza definibile e omogeneo, quindi riconoscibile, distinguibile. Come non lo è, non può esserlo, ad esempio, la cultura universitaria.

All’università, infatti, i vari percorsi individuali si differenziano notevolmente tra di loro. E, quindi, è difficile riconoscere il livello culturale medio di chi ha frequentato una facoltà universitaria.

E poi quelli che hanno frequentato l’Università e si sono laureati sono (ancora) troppo pochi rispetto alla massa dei cittadini di una nazione, di uno Stato.

Per cui limitarsi a parlare alle sole persone che hanno una cultura (come minimo) universitaria significa decidere di voler parlare solo ad una ristretta cerchia di persone.

Mentre coloro che hanno frequentato un liceo o una scuola superiore sono un bel po’ di persone, alcuni milioni, almeno in Italia.

Per cui decidere di parlare almeno a coloro che hanno questo livello di cultura significa decidere di parlare a un bel po’ di persone e non solo ad una ristretta elìte.

Che è poi l’obiettivo (o perlomeno, a mio avviso, dovrebbe essere) di chiunque abbia desiderio di diffondere un messaggio culturale.

Che non sia del tutto banale ed elementare: cosa che lo renderebbe praticamente inutile, perché ovvio e scontato.

Ma, allo stesso tempo, non sia rivolto solo ad una ristretta elìte: cosa che lo renderebbe scarsamente efficace, perché di limitata ricezione.

Giovanni Lamagna

Chi è un uomo di cultura? Omaggio a Fellini.

Si ripete spesso che Fellini non fosse un uomo di grande cultura… sapeva un po’ di tutto senza sapere niente di particolare.” (da Alessandro Carrera; “Una spiegazione dell’Italia”; in Micromega 1/2020; pg. 125).

Una tale affermazione mi riporta alle solite domande, che mi sono posto già tante volte: chi è un uomo di cultura? è necessariamente ed esclusivamente un uomo che ha letto tanti libri e, per giunta, in maniera metodica, ordinata, sistematica, come “deve” fare un “vero” uomo di scienza?

La mia risposta è: no! non è detto che un uomo che abbia letto tanti libri sia (già solo) per questo un “vero” uomo di cultura; come non è detto che un uomo di cultura (di “vera” cultura) debba aver letto necessariamente tanti libri.

Allora chi è per me un uomo di cultura, un “vero” uomo di cultura?

A mio avviso è (essenzialmente e in primo luogo) un uomo capace di avere, produrre e comunicare agli altri un suo sguardo originale, unico, sul mondo.

Un uomo, quindi, che non lascia il mondo, dopo che è morto, così come lo ha trovato. E’ un uomo il cui passaggio su questa terra non rimane senza lasciar tracce.

Che abbia o non abbia letto molti libri, che abbia una grandissima erudizione o ne abbia una molto limitata e magari anche piuttosto disordinata e, perfino, caotica, come forse (anzi sicuramente) era nel caso di Fellini.

Ora Fellini ha lasciato traccia di sé? Ha prodotto uno sguardo originale sul mondo, del quale molti di noi si sono arricchiti in maniera profonda e dal quale non possono più prescindere, come non si può prescindere dai classici?

Per me la risposta a queste domande non può che essere affermativa. Con tutta evidenza.

E allora non ci sono dubbi: Fellini fu (anzi è) uno dei più grandi uomini della cultura italiana, europea e mondiale del XX secolo.

Giovanni Lamagna