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A chi parlo e per chi scrivo

Io non parlo e non scrivo per i cosiddetti filosofi, non mi rivolgo ai filosofi di professione, ai filosofi dell’Accademia, che parlano quasi sempre una lingua difficile, sofisticata, oscura, comprensibile (ammesso che lo sia davvero; molte volte mi sono venuti seri dubbi in proposito) ai soli addetti ai lavori.

Costoro, in generale, tranne alcune lodevoli eccezioni, sono persone che hanno una testa molto grande, ma un corpo ed un cuore molto piccoli, la cui umanità mi appare, quindi, piuttosto modesta; e non attirano, perciò, granché il mio interesse.

Io preferisco parlare e scrivere piuttosto per l’uomo comune, per l’uomo della strada, (perché no?) per chi frequenta i social, purché sia un uomo in ricerca, che si pone domande (ovviamente non banali) su stesso e sul mondo che lo circonda.

Per questo preferisco adoperare un linguaggio semplice, piano, non eccessivamente tecnico, che sia comprensibile ai più; ho sempre avuto un’istintiva resistenza ad utilizzare quello dei circoli ristretti delle Accademie, nei quali ho l’impressione il più delle volte ci si parla addosso, senza vera e autentica passione per la “sophia”.

© Giovanni Lamagna

Il saggio è un uomo fuori dal comune

Il saggio è, per definizione, un uomo fuori dal comune. Non nel senso che fa cose straordinarie, ma nel senso che devia dal corso ordinario di vita dell’uomo comune.

Il quale vive, invece, per definizione contraria, in modo irriflesso, senza porsi molte domande, come se la sua vita non avesse davanti a sé delle alternative e non ci fosse bisogno, quindi, di fare  delle scelte tra di esse.

Il saggio è colui che, ad un certo punto della sua vita, in maniera più o meno autonoma, più o meno indotta, si rende conto che c’è qualcosa di sbagliato nella sua esistenza.

Che ciò che egli ha fatto, fino ad allora, in maniera scontata e quasi automatica, come, del resto, fanno in buona sostanza tutti gli altri uomini che lo circondano, non è affatto l’unico modo di condurre l’esistenza, né, tanto meno, il migliore.

Sente allora il bisogno di operare una correzione, cioè una conversione, a volte una vera e propria conversione ad U, nella sua vita, in base ad un ideale, a dei principi, a dei valori, che non sono più quelli della massa, cioè quelli dell’uomo ordinario.

Di fronte a questa scelta del saggio l’uomo comune avverte, quand’anche in maniera solo episodica e superficiale, di trovarsi di fronte ad una profonda verità, che lo riguarda, che interpella anche lui.

E perciò talvolta (ma non è detto che questo accada sempre) riconosce all’uomo saggio il titolo di “saggio”.

Tuttavia solo poche volte l’uomo ordinario segue l’esempio dell’uomo saggio e si converte a sua volta. Solo poche volte ne fa un “maestro di vita”.

Il più delle volte si accontenta di riconoscerlo saggio, magari di venerarlo e omaggiarlo quando lo incontra, ma poi prosegue imperterrito nella sua vita di uomo ordinario.

Come se non avesse mai incontrato il saggio, come se la saggezza di questi lo avesse solo sfiorato, senza minimamente farsene coinvolgere, scalfire, modificare.

Giovanni Lamagna