Recensione de “La Compagnia del Cigno”

Domenica sera su Rai1 si è conclusa la seconda serie della fiction televisiva “La Compagnia del Cigno”, con attore protagonista Alessio Boni, soggetto e sceneggiatura di Ivan Cotroneo e Monica Rametta, regia di Ivan Cotroneo.

Bella! Non posso negare che questa fiction mi abbia preso, coinvolto parecchio: non ho nessuna difficoltà ad ammetterlo.

Certo, non nego che sia il soggetto che la resa televisiva e la recitazione degli attori abbiano visto molte cadute e perfino rozze ingenuità.

Che il racconto perseguisse la trama non proprio insolita e non proprio difficile da indovinare della favola a lieto fine

E tuttavia, nel complesso, ritengo che l’operazione nata da un’idea di Ivan Cotroneo sia riuscita ed abbia meritato il successo ottenuto (anche se – leggo da qualche parte – inferiore a quello della passata edizione).

Quali sono i motivi di questo coinvolgimento emotivo su larga scala e non solo da parte di un pubblico dai gusti facili e grossier? A mio avviso almeno tre.

Innanzitutto il ruolo protagonista che in questo sceneggiato avevano la musica e persino le canzoni. Ambientato in un Conservatorio musicale di grande tradizione come il “Giuseppe Verdi” di Milano non poteva essere che così.

Belle e suggestive sono state però anche le canzoni che di tanto in tanto cantavano i ragazzi protagonisti della storia, come ad alleggerire o, forse, sottolineare il recitato.

Ma la musica ha avuto un ruolo protagonista anche (e, forse, soprattutto) perché essa era la passione forte che univa in maniera trasversale i soggetti della storia. A significare quale ruolo può avere una forte passione nella vita delle persone, quindi anche nella nostra.

Forse (o senza forse) è stata proprio questa la prima identificazione che sta alla base del coinvolgimento della gran parte di coloro che hanno visto lo sceneggiato.

Il secondo motivo forte che ha avuto presa sugli spettatori è stato a mio avviso il ruolo del maestro, anzi dei maestri, del Conservatorio, anche se uno su tutti ha primeggiato in maniera assoluta e indiscussa: Luca Marioni (interpretato da Alessio Boni).

Un maestro duro, burbero, severo, irascibile, a tratti addirittura violento (tanto da essere soprannominato dai suoi allievi “il bastardo”), ma estremamente appassionato della sua materia e dedito corpo e anima al suo lavoro.

Un maestro, dunque, a tratti violentemente odiato dai suoi studenti, ma anche in fondo visceralmente amato.

Amato, anche se egli non faceva niente per farsi amare (al contrario di molti maestri di oggi, forse eccessivamente permissivi e caramellosi), se non mettere rigore nel suo lavoro e, soprattutto, farsi testimone carnale del suo desiderio, cioè della sua passione.

Amato perché evidentemente in grado di trasmettere agli allievi il suo desiderio, la sua passione, la sua competenza, il suo rigore.

Avremmo voluto tutti (e forse alcuni di noi hanno avuto questa fortuna) avere un maestro o maestri come lui. Credo perciò che questa sia la seconda ragione forte per cui ci siamo appassionati a questo racconto televisivo.

La terza è stata sicuramente la relazione del tutto particolare (ma, in fondo, tipica di quella fase della vita che è l’adolescenza) che ad un certo punto nasce e si sviluppa tra sette degli allievi del maestro Marioni. Che formano un gruppo fortissimo, coeso, pronto ad aiutarsi in tutto, sia a scuola che nella vita privata (soprattutto in quella amorosa) di ognuno di loro.

Anche questo gruppo, beninteso, ad un certo punto vive una crisi, perché uno dei maestri, nuovo arrivato, geloso dell’autorevolezza di Marioni, semina zizzania al suo interno e prova addirittura a metterlo contro “il bastardo”; una crisi che dura almeno un paio delle sei puntate, ma poi rientra, tale è la forza del legame che unisce i ragazzi.

Credo che un po’ tutti ci siamo identificati nella “compagnia del cigno” (il nome che questo gruppo di ragazzi si era dato), perché tutti siamo stati adolescenti e tutti abbiamo vissuto o, forse, avremmo, voluto vivere un’esperienza simile di aggregazione, tipica di quella fase della vita.

Ritengo che questa identificazione sia stata il terzo dei tre motivi che ci hanno fatto appassionare a questa storia.

Motivi forse un po’ ingenui, dal vago sapore romantico, su cui gli intellettuali alti e sofisticati avranno molti argomenti per esercitare la loro ironia.

Ma che a me, intellettuale (seppure lo sono) di basso rango, sembrano sufficienti per giustificare le due ore e passa che in questi ultimi sei lunedì mi hanno visto davanti alla TV su Rai 1.

© Giovanni Lamagna

Pubblicato il 19 Maggio 2021, in Arte, costume, cultura, Psicologia, Recensioni con tag , , , , , , , , , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 7 commenti.

  1. Anche questa serie è molto coinvolgente: https://wwayne.wordpress.com/2011/02/02/una-rosa-nel-deserto/. L’hai mai vista?

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